La Camera dei Deputati ha approvato definitivamente l’abrogazione di uno dei più classici reati contro la pubblica amministrazione, ossia l’abuso di ufficio di cui all’art. 323 c.p., oltre ad aver drasticamente modificato anche lo spinoso delitto di traffico d’influenze illecite di cui all’art. 346bis c.p., ed introdotto nuove misure sulle intercettazioni e sull’inappellabilità delle assoluzioni che appaiono più un contentino per i critici che il frutto di una volontà riformatrice effettiva. Divenuto oramai una pretesa diffusa il diritto all’impunità dalle proprie responsabilità per la ”paura della firma”, la burocrazia difensiva ha trovato un suggello normativo anche in ragione di una pletora di procedimenti penali la maggior parte dei quali sono finiti in assoluzioni o archiviazioni. Un pubblico funzionario dovrebbe invece aver “paura della firma”, si chiama appunto responsabilità, quella strana forma di rendicontazione verso la comunità che tutti coloro che esercitano pubblici poteri dovrebbero avere: purtroppo la responsabilità è divenuta un incubo per chi la assume, un timore che ferma dall’agire chi ne è investito, perciò con questa abolitio criminis si sono liberati i funzionari pubblici (politici, amministratori, medici e magistrati) da uno spauracchio che andrebbe a valutare la qualità, l’efficienza e la correttezza del proprio operato. Tutti rivendicano il potere, a condizione che sia accompagnato dall’immunità, ed il metodo non è nuovo: si cancella il disvalore invece di intervenire sulla causa della disfunzione. È successo con la prescrizione; con lo scudo penale; con la contumacia ed oggi, invece di sanzionare l’operato dei magistrati che inquisiscono persone rivelatisi innocenti all’esito del processo, si è pensato di abrogare direttamente il reato di abuso di ufficio per eliminare il pericolo di contestazioni insussistenti. Si dice che l’abrogazione è una garanzia per gli indagati, ma in realtà è un’offesa per i cittadini. In questo contesto anche il reato di traffico d’influenze illecite, nella attuale formulazione secondo le intenzioni del giustizialismo pentastellato di cui alla legge 3/2019 (c.d. spazzacorrotti), ha perso ogni ragion d’essere, vedendosi ridurre il proprio ambito di applicazione alle esclusive relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale che siano sfruttate intenzionalmente ed effettivamente esistenti. In sostanza non rileveranno più le millanterie e le relazioni solo asserite, mentre l’utilità data o promessa al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio dovrà avere necessariamente natura economica, intesa come remunerazione per la realizzazione di una mediazione illecita in relazione all’esercizio delle sue funzioni. Gli effetti della riforma sono nocivi a chi aspira ad una pubblica amministrazione responsabile e efficiente: da una parte assistiamo ad un arretramento della rilevanza penale di condotte in precedenza punite a titolo di traffico di influenze ed ora perseguibili per reati minori (la maggior parte delle quali procedibili a querela); dall’altra assistiamo ad una sostanziale amnistia di quasi 4.000 colletti bianchi già condannati per abuso di ufficio. La coda di paglia però rimane, ed ecco che nel Decreto Legge carceri n. 92/24 è stato introdotto il nuovo reato di «indebita destinazione di denaro», in vigore dal 5 luglio, un ibrido che ha riesumato alcune condotte del peculato per distrazione miste ad aspetti dell’abuso di ufficio abrogato, configurato dal pubblico ufficiale che destina denaro o altri beni a un uso diverso da quello previsto da leggi da cui, però, «non residuano margini di discrezionalità». Unica vera novità prevista dalla “riforma” del ddl Nordio è costituita dell’interrogatorio preventivo dell’indagato destinatario della richiesta di custodia cautelare in carcere e della natura collegiale della decisione del Gip su tale richiesta, ma tranquilli, queste garanzie effettive saranno operative tra due anni, quindi inutile parlarne ora.